cenni storici
Un tempo Revere era un'isola formata dal Po, che allora scorreva libero tra distese di paludi cosparse di dossi.
In alcuni dei rari documenti anteriori all'anno mille rimastici dai secoli in cui i padroni furono probabilmente gli Etruschi, sicuramente i Galli sottomessi poi dai Romani, si parla di una località legata all'idea di riva: Refere, Riperium, Ripria e poi Isola di Revere. Nell'883 l'Imperatore Lotorio conferma i diritti del monastero di S. Zeno su alcuni territori posti accanto al "Castrum" di Revere. Nell'anno 1091 l'isola di Revere sembra appartenere alla chiesa di Mantova, successivamente Matilde di Canossa la donò al Monastero del Polirone.
Data ufficiale di nascita è il 1125, anno in cui Modenesi e Reggiani decisero di costruire qui un fortilizio. Innanzi tutto per motivi economici (come sempre). I dazi per il transito sul fiume rappresentavano, infatti, un' ambita fonte di reddito. Per riscuoterli senza problemi era indispensabile tenere alla larga i Mantovani. Questi però, con l'aiuto dei Bresciani, presero d’assalto la roccaforte (era il 1163) e se ne impadronirono, mettendosi subito d’impegno per completare la fortezza, rafforzandola con ben sette torri.
Fu Luigi Gonzaga (1328-1360), primo capitano del popolo, a godere dei diritti concessi dai vescovi di Mantova sulle terre dell'isola di Revere. Da quella data (1332) Revere seguirà le sorti della famiglia Gonzaga. Luigi concesse le terre ai contadini con l'obbligo di bonifica. Per poter meglio amministrare il territorio, nel 1377 i Gonzaga edificarono nell'ambito della fortezza un primo castello che fu sede decentrata dell'amministrazione gonzaghesca.
Nel 1440 viene affidata a Luca Fancelli la trasformazione del castello nel maestoso Palazzo Ducale giunto fino ai giorni nostri.
Nel 1628, alla morte del Duca Vincenzo II°, anche Revere viene occupata e saccheggiata; per la nostra Comunità è la fine di un periodo di benessere e di crescita.
La ripresa è lenta, i Gonzaga frequentarono il Palazzo di Revere tanto che, il 31 agosto 1652, vi nasce Ferdinando Carlo, ultimo sciagurato Duca di Mantova.
Dopo la pace di Aquisgrana (1748), spogliati i Gonzaga dei loro domini, Revere fu occupata da Francesi e Austriaci a fasi alterne sino al 1814.
Fu un susseguirsi di saccheggi e distruzioni in seguito alle incursioni di truppe straniere e di soldati di ventura, fra cui i famigerati Lanzichenecchi.
Nel 1800 il Paese vive i moti risorgimentali.
Il parroco di Revere, Don Bartolomeo Grazioli è tra i Martiri di Belfiore.
Sconfitto Napoleone, Vienna divenne la capitale del Lombardo-Veneto, di cui Revere faceva parte, e tale rimase sino al passaggio al Regno d'Italia, nel 1866.
PALAZZO DUCALE
Il Palazzo Ducale Gonzaghesco, di proprietà del Comune di Revere, è posizionato sullo sfondo di un ampio prato dove è ubicata la torre.
Il Palazzo Ducale è sede di:
• Museo del Po
• Fontinalia Museum
• Sale espositive "L. Gonzaga" adibite a mostre di carattere nazionale ed internazionali.
• Pro Loco
Storia
Il Palazzo Ducale Gonzaghesco trae origine da una fortificazione iniziata nel 1125 dai modenesi, fu poi conquistata dai mantovani che la terminarono dotandola di sette torri e la chiamarono Castello di Revere dal nome dell’isola.
Dopo alterne vicende, ed in particolare dopo il nuovo straripamento dei fiumi ed in particolar modo del Po nel 1131, fu causa dell’allagamento di tutta la provincia e dell’isola di Revere e quindi della stessa fortezza. Così nel 1332 mons. Bonfatti fece cessione del Palazzo a Luigi Gonzaga.
Dal 1444 al 1478 fu edificato il Palazzo Ducale, voluto da Ludovico II, sulla base delle sette torri che formavano il sistema difensivo dell’isola di Revere.
Ancor oggi di fronte al castello c’è una torre superstite che è collegata ad esso mediante un passaggio sotterraneo che la univa alla chiesa ormai distrutta di Santa Mostiola.
L’edificio era in un ottima posizione strategica come avamposto di difesa sul Po di fronte al territorio nemico. Aveva inoltre un carattere residenziale: vi si riscuoteva il dazio delle merci in transito sul Po ed era inoltre il centro di una corte rurale dei Gonzaga, i quali controllavano le più importanti fonti di reddito del ducato.
Negli ultimi anni altri avvenimenti hanno riguardato il palazzo ducale. Esso, come tutti gli altri possedimenti Gonzagheschi del Mantovano, passò all’imperatore Carlo VI.
Valorizzato e restaurato dagli austriaci, l’edificio, insieme con la torre, subì in seguito l’assedio e la conquista da parte delle truppe napoleoniche che posero l’antico palazzo sotto l’amministrazione francese fino al 1814.
Dal Congresso di Vienna in poi l’edificio restò agli austriaci ed è grazie alla loro organizzazione amministrativa che a partire da quegli anni tracce della storia dell’edificio sono rimaste presso l’archivio comunale di Revere.
Architettura, Stile e Influenze
Il Palazzo Ducale è la prima opera compiuta nel territorio mantovano da un importante artista: Fancelli.
Il Palazzo doveva avere presumibilmente pianta chiusa con cortile interno nel disegno originario. Più avanti su questi esempi inizierà un processo che porterà Giulio Romano alle prime realizzazioni di ville nel territorio mantovano.
Il castello diviene palazzotto fortificato con una funzione che è ancora politico militare.
Fancelli esegue un intervento di smilitarizzazione del castello, il portale che ricorda da vicino esempi toscani e le finestre di cui è ricca la facciata principale sono larghe, alte e spaziose, non certo buchi o feritoie difensive.
Per volere di Ludovico nel 1458 fu modificato il portale; Fancelli, pur attenendosi ai desideri del committente, mantenne la proposizione di un modello prettamente fiorentino. E’ sicuramente del Fancelli il disegno delle lesene scanalate con i capitelli corinzi che reggono l’architrave sul quale poggia il timpano. Come nel camino di mano Fancelliana, anche sul portale è inciso il motto “amomos” ed è inoltre presente l’impresa del cane dipinto anche su un soffitta. Il timpano del cornici grecizzanti.
All’interno, al parla di intervento accucciato, motivo merlo della portale presenta piano nobile, si parla di intervento mantegnesco:
durante recenti ricerche sono affiorati sotto gli intonaci interessanti disegni, eseguiti a pennello, che lasciano pensare a studi per realizzare il “Ciclo Omerico”.
Un carattere estremamente originale è dato al palazzo dagli alti camini di sapor veneto, di base ottagonale.
Per quanto riguarda l’interno, a causa dei continui rimaneggiamenti non conosciamo la disposizione degli ambienti.
Il cortile interno invece è molto importante, i capitelli e le colonne messe in opera nel 1458 sono su disegno del Fancelli e risentono di influssi tardogotici.
Il portale di destra ornato da una trabeazione con una ghirlanda di frutti è più tardo, di influenza mantegnesca.
Il portale d’entrata è in marmo bianco e rosa come le colonne che hanno base e capitello bianchi e fusto rosa. Su ogni colonna è presente lo stemma quattrocentesco corredato dalle aquile dei Gonzaga.
Nelle due arcate laterali le colonne sono in fila semplice collegata tra loro da volta a botte.
Ai quattro lati del cortile si trovano pozzi dei quali attualmente resta solo uno vero al centro del cortile di fattura tardogotica.
Un elemento caratteristico del palazzo è l’uso del marmo accostato al mattone, ed anche il portale che tra le ville mantovane del Fancelli è l’unico costruito in materiale lapideo.
Oggi il Palazzo Ducale Gonzaghesco di Revere presenta un impianto costituito da un volume a “C” che racchiude un cortile interno, porticato al piano terra in cui è stato ravvisato l’influsso del Brunelleschi. La merlatura di coronamento sembra sia stata tamponata quando il palazzo venne ricoperto con copertura a padiglione, come si vede negli affreschi con motivi araldici presenti nel sottotetto in corrispondenza proprio della merlatura in oggetto la cui fascia sottostante venne tinteggiata con i colori della famiglia Gonzaga.
Delle decorazioni esterne si conservano pochissime tracce di parti di facciata delle torri nei lati interni del sottotetto, mentre riguardo alle decorazioni interne si desume la presenza di elementi pittorici a tempera in una sala del piano terra e in una sala del secondo piano.
LA TORRE CAMPANARIA
L’antica torre di Revere è la testimonianza architettonica di un complesso fortificato che si relaziona al sistema di torri, castelli e corti del territorio della bassa padana.
Essa appartiene ad un antico sistema fortificato, oggi distrutto, che risale al XII sec. e che vede la fortificazione come struttura di controllo difensivo, economico ed amministrativo del territorio. La corte e i castelli erano infatti predisposti alla lavorazione dei prodotti e alla riscossione di dazi e pedaggi, come probabilmente in questo caso, essendo Revere un paese situato sulla riva di un importante fiume in cui il commercio poteva espandersi in misura notevole.
La costruzione del 1125 si collocava nella tipologia medioevale del castello recinto, costituito probabilmente da sette torri e da un tracciato di semplici mura visibili in altri esempi nel territorio mantovano e di epoca pregonzaghesca.
Nel 1449-50 Ludovico II di Gonzaga commissiona all’arch. Luca Fancelli i lavori di ristrutturazione del castello, che viene trasformato in villa di residenza del signore e i lavori di costruzione di un nuovo sistema fortificato, come ci appare da una mappa del 1704, è caratterizzato da un tracciato poligonale con tanaglie, bastioni e circondato da fossati.
All’interno di queste fortificazioni c’era l’intero borgo edificato e sono chiaramente leggibili le porte ubicate sulle strade principali.
Revere rientra in quel programma espansionistico attuato dai Gonzaga sul territorio mantovano e diventa nella seconda metà del Quattrocento uno dei principali poli a sud del Po ed è probabile che le mura medioevali del castello fossero fatiscenti e di perimetro esiguo inadeguate a proteggere un centro in continua espansione; cosi il castello viene ristrutturato e trasformato in villa e perde così la sua antica funzione difensiva, restando come unica testimonianza la torre mastio adiacente al palazzo.
La torre è costruita interamente in laterizio su possente base quadrata piena caratterizzata dal camminamento di ronda sostenuto da strutture aggettanti a mensola verso l’esterno; possiede tutti e quattro i lati merlati ed è fornita di piccole aperture a feritoia su tutto il perimetro.
Ha subito nel corso dei secoli diversi restauri, tra cui quello del 1755, durante il regno di Maria Teresa d’Austria; tutti i restauri sono stati di tipo conservativo tranne l’elevazione della torre campanaria, unico intervento cinquecentesco che ha modificato non solo la destinazione d’uso della torre ma anche il suo profilo architettonico esterno.
L’attuale torre campanaria della fortezza del 1125 serviva per dominare la navigazione sul Po, essa è merlata alla guelfa, sopra vi è eretta la cella campanaria.
Nel 1572 vi fu posta la prima campana che portava inciso a basso rilievo la scritta: “PXS vincit. PXS regnat. PXS imperat. PXS ab omni malo nos defendat”.
Nel 1752 essa fu rifusa e venne incisa la scritta in latino: “Questa campana del 1572 fu rifusa nell’anno 1752, regnante Maria Teresa. La fecero Pietro Saletti ed il figlio Alberto Veronesi. Una seconda campana affiancò la prima nel 1665, anche essa con la propria incisione: “ iesu omne genuflectatur caelestium terrestium et inferorum. Anno MDCLXI. Bartholomei De Pisani veronensis opus. A fulgore et tempestate libera nos Domine. Da gloriam Deo et verbum carnem factum est et abitavit in nobis.
Nel 1839, in occasione della rotta del Po, le due campane non poterono suonare a martello per dare l’allarme perchè erano infrante tutte e due.
I reveresi decisero di istallare un vero concerto campanario e di acquistare quattro campane così da lasciare un monumento perenne del proprio interesse e della generosità dei propri benefattori.
In seguito fu acquistata una quinta campana a spese di Giovanni Amadei di Revere e su di essa vi è l’iscrizione dell’accaduto. Nel 1841 le nuove campane vengono benedite. La campana maggiore fu chiamata « Alberto » (padrino il conte Giuseppe Bancari); la seconda « Maria Annunciata » (padrino Cherubino Bottura); la terza « Teresa » (padrino Natale Tambelli); la quarta « Angelica » (padrino G.B. Amedei); la quinta « Maddalena » (padrino Sante Tambelli).
Il signor Natale Tambelli, a ricordo dell’avvenimento, fece apporre sul muro nord della torre la seguente iscrizione : « Il 7 dell’agosto del 1841 quando sulla torre del castello di Revere innalzavasi un concerto di cinque campane spontaneo contribuente il popolo Natale Tambelli pose questa pietra a perenne monumento di patrio decoro ».
Le nuove cinque campane furono suonate la sera del 7 agosto 1841 in occasione del giorno di Pasqua. Ogni campana porta un’iscrizione, ed inoltre ha diverse caratteristiche tecniche: ogni bronzo ha peso, diametro e note diverse (do, re, mi, fa, sol).
Per onorare i caduti della guerra 1915-1918 il signor Umberto Grecchi donò una campana nel 1929, installata nel 1931; questo è il campanone che suona tutti i venerdì in onore dei caduti in si bemolle. La tonalità dell’intero concerto è delle sei campane è in mi maggiore.
Per salire alla torre campanaria vi sono 108 gradini e fino al 1974 le campane erano suonate a corde e le allegrezze con una tastiera a piano. Nel 1975 si ruppero e vennero di nuovo istallate e dalla cittadinanza fu raccolta la somma necessaria per istallarvi un congegno elettronico che sostituisce corde e campanari. Le suonate che si ripetono ancora oggi sono state create da Archimede Piccaia.
La torre campanaria fu adibita a prigioni prima dell’Austria poi della Francia e dopo il 1866 anche dell’Italia.
A lato della torre fu eretta, nel 1775, una casa per il custode, che fu demolita nel 1926. Ai piedi della torre si trovano due lapidi con due iscrizioni una sul lato nord e una sul lato est.
Nel 1824 fu riconosciuto in catasto la proprietà della torre al Comune di Revere.
LE CHIESE
CHIESA DELLA BEATA VERGINE ANNUNZIATA
La chiesa carmelitana della Beata Vergine Annunziata è tardo barocca (edificata tra il 1750 e il 1775 sulla vecchia chiesa del 1472 voluta dai Carmelitani della congregazione di Mantova).
La straordinaria facciata curvilinea, decisamente unica nel panorama dell'architettura sacra del XVIII secolo nel mantovano, raccoglie un sobrio catalogo di ornamenti in laterizio, cornici aggettanti, lesene, modanature, nicchie voltate e sovrastate da raffinati timpani curvilinei ed elementi plastici in pietra posti in cima alla facciata.
All'interno della chiesa ad un'unica navata, con cappelle laterali, interamente affrescata dal Milani, vi sono cinque pale d’altare di cui due, importantissime di Giuseppe Bazzani (1690 - 1769).
Nella prima cappella di destra, entrando troviamo "La Madonna e Santa Maria Maddalena de’ Pazzi", dipinta nel 1571; nell’abside si trova "L’Annunciazione di Maria Vergine".
Del Milani sono altre due pale: nella terza cappella di destra "L’angelo custode", nella terza di sinistra, "Il matrimonio della Vergine e San Giuseppe".
La quinta pala, nella prima cappella di sinistra, "L’estasi di S. Teresa", è di ignota provenienza: alcuni studiosi sembrano attribuirla a Giacomo Cavedoni di Sassuolo.
Le pareti interne e la volta sono ricche di affreschi del Milani. Le decorazioni, pure a fresco, che ricoprono la volta e le lesene, sono opera di padre Brambilla, carmelitano.
Nelle due cappelle centrali dedicate, quella di sinistra alla B.V. del Rosario e l’altra di destra a S. Alberto, patrono di Revere, la decorazione è ricca e sfarzosa. Di notevole interesse e di raffinata fattura è il dipinto del ’700 sulla porticina del tabernacolo che rappresenta “La deposizione del Cristo morto adorato da due Angeli". Il campanile è antecedente alla parrocchiale e venne riedificato su una precedente struttura nel 1604 dai carmelitani.
CHIESA DI SAN BIAGIO IN ZELLO
Poche note sono rimaste negli archivi. Sulle pareti sono ancora presenti figure di Santi che, assieme alle generazioni trascorse, hanno popolato l'oratorio; non aiutano a decifrare la storia del sacro edificio, ma solo a meglio comprendere l'animo dei fedeli che lo frequentano.
Questa chiesetta, dedicata a S. Biagio, è citata per la prima volta nel decreto del vescovo di Reggio Emilia, Nicolò Maltraversi, promulgato nel 1219 per concedere e confermare, all'arciprete Manfredo di S. Maria di Coriano, la giurisdizione su molte chiese e cappelle della zona, fra le quali è citata "ecclesiam Santi Blaxi de Zella", cioè la nostra; e tale documento trovasi nell'Archivio Capitolare del Duomo di Reggio Emilia.
Dopo tale data, 1219, i documenti tacciono per tre secoli e mezzo. Nel 1580, lo apprendiamo da un rogito del notaio Emilio Righelli, l'oratorio di S. Biagio era dotato di una prebenda di 32 biolche mantovane, concesse in enfiteusi a Francesco Trentini (darà il nome alla adiacente Via Trentine).
Tale investitura la troveremo ripetuta in altro rogito Righelli nel 1595. Nel 1610 il Vescovo di Mantova, Frate Francesco Gonzaga, concentrò nel Seminario i patrimoni di vari benefici ecclesiastici, fra i quali, appunto, anche quello di Zello. L’investitura del terreno a favore del Seminario si ripeterà, attraverso vari rogiti, fino al 2 settembre 1897.
Per l'oratorio invece nessun documento, dopo il 1219, per oltre 5 secoli. Probabilmente non si è lontano dal vero se si ipotizza un aggancio alla Corte di Zello della quale era stato investito Giovanni Gonzaga, terzogenito figlio di Federico I e che divenne il capostipite del ramo dei Gonzaga di Vescovato.
Nella Corte di Zello il palazzo del "dominus" è a cento metri dalla nostra chiesetta. Solamente nel 1724, con un rogito Zampolli, si parla di "Ius patronatus" dell'avvocato Mondiani sull'oratorio di Zello.
Nel 1751, con rogito Costa, il Modiani cedeva al Seminario di Mantova la proprietà della chiesetta a condizione che fosse "continuata in detto oratorio l'ufficiatura di Messe".
Queste sono le poche notizie rimaste negli archivi, e che lasciano senza risposta tanti interrogativi...
L’interno presenta una serie di riquadri votivi (XV secolo) e tracce di più antica decorazione.
L'oratorio è una vera e propria pinacoteca, interamente affrescata con opere datate attorno al 1490; sotto il primo strato ne affiorano altre del ’300.
Tra i circa trenta affreschi (compresi alcuni frammenti) i più interessanti per fattura e linee stilistiche sono quelli che raffigurano i "Santi Giacomo e Maddalena", la "Madonna in trono tra S. Sebastiano e il Beato Simonino", un "Santo Cavaliere (Bovone o Bonone), Tobiolo e l’Angelo Raffaele" ed una "Madonna del parto".
IL MUSEO DEL PO
Il museo del Po, di proprietà comunale, è stato istituito nel 1983 e ha come tema centrale il fiume, il suo territorio e le sue genti. Il Museo del Po ospita undici sale ricche di testimonianze della storia del fiume, della fauna che lo popola e della storia delle sue genti. Dopo l’ingresso con il bookshop le sale sono suddivise in: il Castello e il suo committente, sezione multimediale, Preistoria e Protostoria, dai Romani all’Umanesimo, Revere nel XX secolo, le Imbarcazioni e la Navigazione, I Ponti di barche sul Po, i Mulini natanti e gli Opifici idraulici, il territorio di Revere nella cartografia antica e moderna, La caccia e la pesca nel territorio, L’Avifauna e la fauna, Il premio Revere.
IL MULINO NATANTE
Il Mulino Natante è un’appendice esterna del museo del Po. Il progetto di realizzazione del mulino nasce dalla volontà del comune di Revere di far conoscere agli utenti locali e ai visitatori le tradizioni della civiltà molitoria e a completamento di questa iniziativa il mulino è in grado di produrre farina da una filiera biologica.
I mulini natanti sono un elemento caratteristico della pianura padana e del nord Italia dove fin dal medioevo se ne attesta la presenza lungo il Po e l’Adige. Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 era punto di riferimento della vita sociale ed economica del paese. Il mulino natante è ora posto a documentazione degli oltre 300 che esistevano sul Po da Cremona alla foce dall’XI al XX secolo. La loro presenza inizia a diminuire già nei primi del ‘900 quando, a causa della comparsa sui fiumi di battelli a vapore e rimorchiatori, non venne riconfermata l’utenza, la concessione delle acque e venne fatto obbligo di smantellamento di tutti i mulini.
I mulini natanti nascono da un riadattamento della struttura tradizionale del mulino: le ruote diventano più ampie per riuscire a raccogliere meglio la forza delle correnti e vengono introdotti numerosi meccanismi moltiplicatori dell’albero a motore. Essi erano costituiti da una struttura in legno, posizionata su due o tre scafi galleggianti e ospitavano un numero variabile di ruote. Alcuni mulini accoglievano anche gli alloggi per il mugnaio e la sua famiglia.
La struttura principale sorregge le ruote e la capanna di legno, dove venivano collocate le materie prime per la macinazione e gli strumenti necessari. Il mulino natante di Revere è collocato sulla riva destra del Po, accostato ad uno dei pontili d’attracco galleggianti. È composto di una struttura portante costituita da due scafi, detti anche sandon, collegati da traverse di acciaio e parte della struttura portante è coperta da fasce in legno di larice. Nel mulino si macinavano soprattutto mais e frumento.
Ultimo aggiornamento
Martedi 30 Aprile 2024